La tiamina non è l'unica vitamina del gruppo B che sia stata sperimentata nella malattia di Parkinson (MP) con risultati promettenti a dosi farmacologiche o a dosi molto superiori alla RDA (dose dietetica raccomandata). Oltre alla tiamina, altri esempi includono la riboflavina (vitamina B2), la niacina e la nicotinamide riboside (vitamina B3) e la cobalamina (vitamina B12).
Gli studi rilevanti sulle vitamine diverse dalla B1 sono presentati qui per mostrare il ruolo che potenzialmente svolgono le vitamine B ad alto dosaggio. Queste vitamine vengono utilizzate come interventi terapeutici e non più solo come integratori per colmare delle carenze nutrizionali. Questo impiego è stato definito una “rivoluzione medica in campo medico” (Lonsdale, 2021). Livelli adeguati di tutte le vitamine del gruppo B sono essenziali per un funzionamento neurologico e un metabolismo cellulare ottimali (Kennedy, 2016). Tuttavia, la maggior parte degli studi sulla malattia di Parkinson si sono concentrati fino a poco tempo fa su poche vitamine B (vale a dire, vitamine B6, B9 e B12) a causa del loro ruolo nel metabolismo dell’omocisteina. Recentemente un numero crescente di studi osservazionali ha esaminato il profilo di sicurezza di alcune vitamine B assunte da sole o in combinazione (ad esempio vitamine B6, folato, B12).
Una volta accertato l’impatto di queste singole vitamine sulla qualità di vita delle Persone con il Parkinson (PcP) e sulla progressione della MP e una volta determinata la sicurezza di dosi elevate somministrate a lungo termine, è auspicabile che la ricerca affronti la sicurezza e l’efficacia di queste vitamine quando vengano somministrate in combinazione.
I risultati di uno studio sulla riboflavina nella MP sono stati pubblicati nel 2003 (Coimbra, 2003). Dei trentuno (31) pazienti ambulatoriali consecutivi con malattia di Parkinson che presentavano uno stato anomalo di riboflavina senza carenza dietetica, diciannove (19) - di cui 8 maschi e 11 femmine - hanno ricevuto riboflavina per via orale (30 mg ogni 8 ore) in aggiunta al trattamento in corso.
Entro un mese, lo stato della riboflavina dei pazienti si è normalizzato. Tutti i 19 pazienti che hanno completato i 6 mesi di trattamento hanno mostrato un miglioramento della capacità motoria, compreso tra il 44 e il 71%, in base al sistema di punteggio di Hoehn e Yahr.
Gli autori hanno suggerito che la riboflavina orale, a quelle dosi, possa determinare un miglioramento clinico. Lo studio presenta alcune limitazioni, incluso il fatto che i 12 pazienti che non hanno completato il periodo di terapia di 6 mesi sono stati esclusi dall'analisi. Anche se nell’articolo non ne vengono fornite le ragioni, è possibile che almeno alcuni di loro abbiano abbandonato lo studio per non essere stati in grado di tollerare le dosi di riboflavina somministrate.
Ciononostante, si è trattato di uno studio interessante, che ha utilizzato una vitamina B ad alto dosaggio nella malattia di Parkinson. La vitamina B utilizzata, la vitamina B2, svolge importanti funzioni. La riboflavina è un componente essenziale di due importanti coenzimi, che svolgono un ruolo importante nella produzione di energia e che sono coinvolti nelle vie metaboliche della niacina (vitamina B3) e della piridossina (vitamina B6), inclusa l'attivazione della vitamina B6 (ET Marashly, 2017). Inoltre, un apporto inadeguato di riboflavina e piridossina può portare a una carenza di niacina, poiché queste vitamine sono necessarie per la generazione di niacina dal triptofano.
La carenza di riboflavina può ridurre il metabolismo di altre vitamine del gruppo B, vale a dire il folato e la vitamina B6 (Powers, 2003). La riboflavina è coinvolta anche nel metabolismo dell’omocisteina, nel quale svolge un ruolo essenziale interagendo con altre vitamine, ovvero la vitamina B6, il folato e la vitamina B12 (Powers, 2003; Marashly, 2017). Questo è un fatto importante, poiché l’omocisteina è tossica per le cellule cerebrali. È stato proposto che la vitamina B2 possa avere meccanismi neuroprotettivi, a causa dei suoi effetti sullo stress ossidativo, sulla disfunzione mitocondriale, sulla neuroinfiammazione e sull'eccitotossicità del glutammato (ET Marashly, 2017). Si ritiene attualmente che questi fattori svolgano un ruolo nella patogenesi della malattia di Parkinson. Ciò renderebbe la riboflavina un potenziale bersaglio adatto per ulteriori ricerche sulla malattia di Parkinson.
Nicotinamide riboside (vitamina B3) Altri ricercatori hanno esaminato la nicotinamide riboside (NR), una forma di vitamina B3, per i suoi effetti sull'aumento del NAD (nicotinamide adenina dinucleotide). Il NAD è essenziale per la produzione di energia da parte dei mitocondri nelle cellule. Per il loro ruolo nella produzione di energia, i mitocondri sono stati definiti la “centrale elettrica” della cellula (Stott, 2018). Trasformano i nutrienti alimentari in adenosina trifosfato (ATP). L’ATP rappresenta “il carburante con cui funzionano le cellule”. (Stott, 2018). Le PcP hanno livelli di NAD più bassi rispetto alle persone che non hanno la malattia di Parkinson (C. Wakade, 2021) e si prevede che questa carenza abbia un impatto negativo sulle funzioni mitocondriali. Infatti, Schöndorf e collaboratori hanno dimostrato che l'aumento dei livelli di NAD mediante NR nelle cellule staminali pluripotenti indotte derivate dai pazienti - differenziate in neuroni dopaminergici - ha migliorato notevolmente la funzione mitocondriale (Schöndorf, 2018). La logica dell'utilizzo dell'NR nella malattia di Parkinson in uno studio clinico è quindi che, se l'NR fosse in grado di aumentare i livelli di NAD intracellulare, correggerebbe la disfunzione mitocondriale legata alla carenza di NAD e quindi migliorerebbe il metabolismo cerebrale (Schöndorf, 2018). Uno studio clinico ha dimostrato che negli adulti sani l’integrazione cronica con NR è stata ben tollerata e in grado di stimolare il metabolismo del NAD (Martens, 2018).
Lo studio NADPARK, uno studio clinico di Fase 1 in doppio cieco, è stato condotto per testare la sicurezza e l'efficacia della NR nel ricostituire il NAD nel cervello delle PcP (Brakedal , 2022).
A trenta (30) PcP di nuova diagnosi, che non avevano iniziato alcun altro medicinale per la malattia di Parkinson, sono stati somministrati 1.000 mg di nicotinamide riboside (NR) o placebo per 30 giorni. L'NR ha portato ad un aumento significativo, sebbene variabile, del NAD cerebrale, ha ridotto i livelli di citochine infiammatorie nel siero e nel liquido cerebrospinale ed è stato associato a un lieve miglioramento clinico.
L'NR è stato ben tollerato per tutta la durata dello studio. I ricercatori hanno concluso che questa forma di vitamina B3 può essere neuroprotettiva nella malattia di Parkinson.
Gli stessi ricercatori hanno anche avviato uno studio più ampio, lo studio clinico di Fase 2 NOPARK randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo su 400 PcP in fase iniziale della malattia per valutare i benefici della NR somministrata alla dose totale di 1.000 mg per un anno (A Randomized Controlled Trial of Nicotinamide Supplementation in Early Parkinson's Disease (NOPARK). Lo studio dovrebbe essere completato nel marzo 2024. Per testare la sicurezza di una dose più elevata di NR (3.000 mg somministrati per quattro settimane) nelle PcP, i ricercatori hanno anche condotto uno studio randomizzato sul profilo di sicurezza in doppio cieco (NR-SAFE) in 20 PcP nell’arco di 4 settimane, che ha mostrato “nessun evento avverso moderato o grave e nessun segno di tossicità acuta”(*). In un precedente studio randomizzato sulla sicurezza della NR, adulti sovrappeso ma per il resto sani hanno ricevuto dosi di 100, 300 e 1000 mg di NR una volta al giorno per otto settimane. Si è verificato un aumento significativo del NAD nel sangue intero entro 2 settimane. L’effetto è stato dose-dipendente e si è mantenuto per il resto dello studio. Gli autori non hanno riportato "differenze significative negli eventi avversi tra i gruppi con NR e placebo o tra gruppi con diverse dosi di NR" (Conze, 2019). Un altro studio clinico sul profilo di sicurezza della NR in cui a uomini obesi è stata somministrata una dose giornaliera di 2 grammi di NR per 12 settimane ha prodotto risultati simili (Dollerup, 2018).
Infine, per stabilire la dose ottimale di NR nelle PcP, è attualmente in corso uno studio randomizzato in doppio cieco, controllato con placebo, con incremento delle dosi da 1.000 a 3.000 mg in 12 settimane (N-DOSE: A Dose Optimization Trial of Nicotinamide Riboside in Parkinson's Disease).
In uno studio, i ricercatori hanno riferito che alti livelli di NAD provocano gliomi, che sono tumori al cervello con un basso tasso di sopravvivenza negli adulti. La questione necessita di ulteriori approfondimenti (Lucena-Cacace, 2017).
Niacina (Acido Nicotinico)(Vitamina B3) È stato condotto di recente uno studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo (RCT) della durata di sei mesi per accertare se l'integrazione giornaliera di niacina a basso dosaggio (250 mg/giorno) migliori i sintomi motori nelle PcP (Chong, 2021 ) .
L’evidenza suggerisce che la neuroinfiammazione, la disfunzione mitocondriale e l’attivazione della microglia nel cervello possono svolgere un ruolo importante nello sviluppo e nella progressione della malattia di Parkinson.
Ma perché la niacina? La niacina (acido nicotinico e nicotinamide) viene convertita nel corpo nelle sue principali forme bioattive, nicotinamide adenina dinucleotide (NAD) e nicotinamide adenina dinucleotide fosfato (NADP). NAD e NADP sono cofattori essenziali per le reazioni cellulari volte a ridurre l'ossidazione e sono vitali per il metabolismo cellulare. Il NAD è fondamentale per la produzione di energia nelle cellule, migliorando le funzioni mitocondriali, e per il normale funzionamento (Chong, 2021; Kirkland, 2018). Le PcP hanno livelli di vitamina B3 e NAD più bassi rispetto alle persone senza MP (Wakade, 2021). Inoltre, la levodopa riduce i livelli di niacina nelle PcP interferendo con la degradazione del triptofano.
Pertanto la niacina rappresenta un buon candidato da testare come trattamento aggiuntivo nella malattia di Parkinson per ridurre la neuroinfiammazione e migliorare le funzioni motorie nelle PcP. Nello studio, 47 PcP (32 uomini e 15 donne) sono stati assegnati in modo casuale a uno di 3 gruppi: placebo, 100 mg di niacina o 250 mg di niacina, per 3 mesi. Successivamente, tutti hanno ricevuto 250 mg di niacina in aperto. I soggetti dei gruppi placebo e 100 mg sono passati al regime da 250 mg per 12 mesi, mentre il gruppo da 250 mg ha continuato la stessa dose per altri 9 mesi.
La dose di 250 mg è di oltre 15 volte superiore alla RDA.
Il trattamento con niacina è stato ben tollerato da 45 soggetti su 47, sebbene l'80% dei soggetti nel gruppo da 100 mg abbia manifestato vampate.
Dopo un anno di integrazione con niacina, i sintomi motori tipici della malattia di Parkinson (rigidità, bradicinesia) si sono ridotti, la stabilità posturale è migliorata, la forza della presa e le dimensioni della scrittura sono migliorate così come l’umore e l’affaticamento, mentre i livelli di serotonina e la percentuale di sonno REM si sono stabilizzati. I ricercatori hanno concluso che il trattamento con l’integrazione giornaliera di niacina ha il potenziale di migliorare la qualità della vita nei pazienti con malattia di Parkinson e di rallentare la progressione della malattia.
Bassi livelli di vitamina B12 nella malattia di Parkinson sono associati a una serie di importanti esiti negativi nelle PcP, vale a dire:
un'incidenza significativamente più elevata di neuropatia periferica, rispetto alle persone senza MP (55% vs 9%) (Toth, 2010)
un tasso più rapido di progressione della malattia (Stuart, 2019)
uno stadio Hoehn-Yahr più elevato (Madenci , 2012),
un peggioramento più rapido della capacità ambulatoriale (Christine, 2018), e
un deterioramento cognitivo (Triantafyllou, 2008; Christine, 2018).
È importante notare che i livelli “più bassi” di vitamina B12 possono comunque rientrare nell’intervallo di riferimento “normale” per la vitamina B12 sierica. Anche i pazienti con livelli “normali” di vitamina B12 che rientrano nel quartile basso “normale” hanno una progressione motoria più rapida (Stuart, 2019) e quelli nel terzile basso di B12 hanno un peggioramento maggiore della capacità deambulatoria (Christine 2020).
Quanto è comune la carenza di vitamina B12 nella malattia di Parkinson? Questa informazione è importante poiché lo stato della vitamina B12 è inferiore nelle persone con PcP rispetto ai controlli (Sadasivan, 2012; Christine, 2018) ed è comune anche nella fase iniziale della malattia di Parkinson (Stuart, 2019). Le PcP sono più suscettibili ad avere una carenza di vitamina B12 rispetto alle persone senza MP (Liang Shen, 2015). È stato anche suggerito che il fabbisogno di vitamina B12 nella malattia di Parkinson potrebbe essere più elevato (Stuart, 2019).
Inoltre, la carbidopa/levodopa può ridurre i livelli di vitamina B12, soprattutto ad alto dosaggio (Qureshi, 2008) e può quindi essere responsabile di sintomi legati alla carenza di vitamina B12, inclusa la neuropatia (Toth, 2010).
Infine, i sintomi presenti nelle persone con carenza di vitamina B12, come depressione, paranoia, debolezza, stanchezza, intorpidimento muscolare, formicolio e difficoltà a camminare, sono sintomi osservati anche nella malattia di Parkinson.
Un altro punto importante è il contributo della vitamina B12 alla riduzione dei livelli di omocisteina. La carenza di vitamina B12 nella malattia di Parkinson è accompagnata da livelli sierici più elevati di omocisteina. Alti livelli di omocisteina sono tossici per il cervello e il sistema cardiovascolare e potrebbero accelerare la morte delle cellule dopaminergiche attraverso effetti neurotossici (Qureshi, 2008).
È stato dimostrato che basse concentrazioni di vitamina B12 e alte concentrazioni di omocisteina sono indipendentemente associate alla demenza nelle PcP rispetto alle PcP senza demenza (Xie, 2017). È stato riscontrato che le PcP con omocisteina totale moderatamente elevata presentano diminuzioni annualizzate maggiori nel Mini-Mental State Exam (Christine, 2020) - MMSE, uno strumento di screening per la demenza dovuta alla malattia di Parkinson. Inoltre, le PcP trattate con levodopa hanno livelli di omocisteina significativamente più alti rispetto sia ai controlli che alle PcP non trattate con levodopa.
Pertanto, la carbidopa/levodopa può ridurre i livelli di vitamina B12 e aumentare i livelli di omocisteina.
Poiché bassi livelli di vitamina B12 e livelli elevati di omocisteina possono migliorare con l'integrazione vitaminica, sarebbe rilevante vedere se, attraverso ciò, la vitamina B12 migliori la funzione motoria e cognitiva nei pazienti con MP (Stuart, 2019) e abbia un effetto sulla progressione della MP (Christine, 2018).
Uno studio longitudinale con 1.741 partecipanti con malattia di Parkinson in fase iniziale ha mirato a determinare se la progressione della malattia differisse tra le persone che assumevano un'integrazione di vitamina B12 rispetto a quelle che non l’assumevano. I partecipanti sono stati raggruppati in base al loro uso quotidiano di integratori, ovvero niente B12, multivitaminico (MVI) (B12 < 100 μg ) o multivitaminico (MVI) + B12 (≥ 100 μg ); e solo B12 (≥ 100 μ g ) ( Dietiker, 2019). A 3 anni, sebbene non vi fosse alcuna differenza significativa negli esiti clinici tra i gruppi, è stata osservata una tendenza ad un minor rischio di sviluppo di sintomi sensoriali (come marcatore surrogato di neuropatia) in coloro che assumevano MVI e MVI+B12 rispetto a quelli che non avevano preso alcun integratore.
Questo background sulla carenza di vitamina B12 nelle PcP ha portato un team di ricercatori a controllare i livelli di B12 in campioni originariamente prelevati da 680 PcP che non avevano ricevuto nessun altro trattamento per la malattia di Parkinson, inclusi 456 campioni di follow-up (Christine, 2018). Il 13% delle PcP testate presentava livelli borderline bassi di vitamina B12, il 7% aveva livelli elevati di omocisteina, mentre il 2% aveva entrambi. Le PcP che avevano livelli più bassi di vitamina B12 all'inizio hanno progredito più velocemente e hanno mostrato più problemi di deambulazione e di equilibrio rispetto a quelli con livelli più alti. È stata riscontrata un’associazione significativa tra alti livelli di omocisteina e un declino cognitivo più rapido. Bassi livelli di vitamina B12 e alti livelli di omocisteina erano quindi predittori di esiti peggiori, rispettivamente in termini di mobilità e declino cognitivo (Christine, 2018).
Problemi legati al profilo di sicurezza Sebbene i risultati preliminari sui potenziali effetti delle vitamine B ad alto dosaggio nella malattia di Parkinson siano incoraggianti, la loro sicurezza a lungo termine richiede ulteriori indagini. C’è qualche preoccupazione che la combinazione di vitamine B ad alto dosaggio o l’assunzione di alcune vitamine B ad alti dosaggi possa essere associata a effetti avversi, incluso il cancro.
Assunzioni combinate di vitamine B
Riportiamo di seguito alcuni studi sull'associazione di assunzioni combinate di vitamine B (B6+B12; Folato+B6+B12) con effetti avversi.
È stata trovata un’associazione tra un’elevata assunzione combinata di vitamina B6 e vitamina B12 e il rischio di frattura dell’anca tra le donne in postmenopausa (Meyer, 2019). “Il rischio era più alto nelle donne con un elevato apporto combinato di entrambe le vitamine (vitamina B6 ≥ 35 mg/die e vitamina B12 ≥ 20 µg/die).” Il rischio era superiore di circa il 50% rispetto a un apporto inferiore di entrambe le vitamine (vitamina B6 <2 mg/die e vitamina B12 <10 µg/die).
In uno studio multicentrico, in doppio cieco, randomizzato, controllato con placebo, l’integrazione combinata di acido folico e vitamina B12 è risultata associata ad un aumento del rischio di cancro del colon-retto. Lo studio mirava a valutare l'effetto dell'integrazione giornaliera per 2-3 anni di acido folico (400 μg) e vitamina B12 (500 μg) rispetto al placebo sull'incidenza delle fratture. I ricercatori hanno esaminato anche gli effetti a lungo termine dell'integrazione combinata di acido folico e vitamina B12 sul rischio di cancro. Sono stati inclusi un totale di 2.524 partecipanti. I partecipanti che ricevevano acido folico più vitamina B12 avevano un rischio più elevato di cancro in generale (13,6% contro 11,3%) e di cancro del colon-retto (3,4% contro 2,0%) (Araghi, 2019).
Un altro studio ha coinvolto 636 pazienti sottoposti a stent coronarico. Sono stati assegnati in modo casuale a ricevere acido folico, vitamina B6 e vitamina B12, come segue: 1 mg di acido folico, 5 mg di vitamina B6 e 1 mg di vitamina B12 per via endovenosa, seguiti da dosi orali giornaliere di 1,2 mg di acido folico, 48 mg di vitamina B6 e 60 μg di vitamina B12 per sei mesi o placebo. Il tasso di restenosi è stato più elevato nel gruppo acido folico rispetto al gruppo placebo (34,5% contro 26,5%). Anche la percentuale di pazienti che hanno richiesto una rivascolarizzazione ripetuta del vaso bersaglio è stata più alta nel gruppo acido folico (15,8% vs 10,6%). I ricercatori hanno concluso che l’assunzione di acido folico, vitamina B6 e vitamina B12 dopo stent coronarico può aumentare il rischio di occlusione dello stent con necessità di una rivascolarizzazione di emergenza (Lange, 2004)
In Norvegia, 6.837 pazienti con cardiopatia ischemica sono stati trattati con vitamine del gruppo B per via orale o placebo, come segue: a) acido folico (0,8 mg/die) più vitamina B12 (0,4 mg/die) e vitamina B6 (40 mg/die); b) acido folico (0,8 mg/die) più vitamina B12 (0,4 mg/die); c) vitamina B6 da sola (40 mg/die); oppure d) placebo. Il trattamento con acido folico più vitamina B12, ma non il trattamento con vitamina B6, è stato associato ad un aumento dell’incidenza di cancro (del polmone) e della mortalità per cancro, nonché a mortalità per tutte le cause nei pazienti con cardiopatia ischemica (Ebbing, 2009).
La coorte “Vitamins and Lifestyle” (VITAL) ha esaminato l’uso di integratori di vitamine B6, acido folico e B12 in 77.118 partecipanti, di età compresa tra 50 e 76 anni, in relazione al rischio di cancro. Un rischio significativo è stato riscontrato negli uomini per la B6 e la B12, soprattutto nei fumatori, ma non nelle donne. Più specificamente, l’uso di vitamine B6 e B12 provenienti da fonti individuali di integratori, ma non da multivitaminici, è stato associato ad un aumento dal 30% al 40% del rischio di cancro ai polmoni tra gli uomini, ma non nelle donne. Quando è stata considerata la dose media di integratore su 10 anni, gli uomini che assumevano > 20 mg/die di vitamina B6 e quelli che assumevano > 55 µg/die di B12 avevano un aumento quasi doppio del rischio di cancro ai polmoni rispetto ai non utilizzatori. Il rischio era ancora più elevato tra i fumatori (Brasky, 2017).
Solo vitamina B12
Finora la vitamina B12 è stata considerata molto sicura, anche ad alti dosaggi. Non è stato fissato alcun UL (limite superiore di assunzione tollerabile) poiché non sono stati segnalati effetti avversi a dosaggi elevati.
Tuttavia, studi per lo più osservazionali che hanno esaminato specificamente il rischio di cancro associato all’assunzione di vitamina B12 – sia da fonti alimentari che da integratori – hanno trovato un’associazione positiva della vitamina B12 con il rischio di cancro ai polmoni.
In uno studio prospettico di coorte (Singapore Chinese Health Study), 63.257 persone sono state seguite per l'incidenza del cancro ai polmoni fino a 25 anni. Un maggiore apporto di vitamina B12 nella dieta (cioè da fonti alimentari) e livelli elevati di vitamina B12 sono stati associati a un aumento significativo del rischio di cancro ai polmoni, più negli uomini che nelle donne. Gli autori hanno concluso che i risultati dello studio “evidenziano il potenziale effetto dannoso dell’integrazione di vitamina B12 per il cancro ai polmoni”. (Luu, 2021).
Come osservato nello studio VITAL, è stato recentemente descritto un rischio di cancro in persone con livelli elevati di vitamina B12, al punto che è stato proposto di valutare livelli elevati e inspiegabili di vitamina B12 come un possibile indicatore di cancro solido (Urbanski, 2020).
Due studi di coorte retrospettivi basati su registri sanitari hanno mostrato un’associazione tra livelli elevati di vitamina B12 e cancro solido di nuova diagnosi.
Uno studio di coorte che ha utilizzato registri medici danesi basati su una popolazione di 333.667 soggetti indirizzati per vitamina B12 nel plasma, ha rilevato che alti livelli di B12, in particolare > 800 pmol /L (1084 ng/L), erano associati al rischio di ricevere una diagnosi di cancro, per lo più entro il primo anno di follow-up (Arendt, 2013).
Un altro studio basato sulla popolazione su 757.185 persone ricoverate nel regime di assistenza primaria del Regno Unito ha rilevato un'associazione tra alti livelli di vitamina B12 (> 1.000 pmol / L) e l'insorgenza di un cancro entro un anno dal test. L’associazione era dose-dipendente (Arendt, 2019).
Un altro studio su campioni di sangue provenienti da oltre 5.000 coppie caso-controllo ha trovato un’associazione dose-dipendente tra alti livelli di B12 e il rischio di cancro ai polmoni, sia negli uomini che nelle donne. Gli autori hanno concluso che i loro risultati “supportano l’ipotesi che un elevato livello di vitamina B12 aumenti il rischio di cancro ai polmoni”. (Fanidi, 2019).
785 pazienti con B12 ≥ 1.000 ng/L sono stati confrontati con 785 controlli con B12 < 1.000 ng/L. Un livello di B12 ≥ 1000 ng/L è stato associato alla presenza di cancro solido, in particolare metastasi al pancreas, al colon/retto, ai polmoni, alla prostata, all'urotelio e alle ossa e al fegato. L'associazione era più forte con l'aumento dei livelli di B12, in particolare nei casi di metastasi (Urbanski, 2020).
Lacombe e colleghi hanno scoperto che un livello plasmatico elevato di B12 (≥ 1000 ng/mL) persistente alla seconda misurazione era fortemente associato alla comparsa di cancro solido, rispetto all'aumento non persistente della B12 plasmatica (Lacombe, 2021).
Va notato che la maggior parte di questi studi sono studi osservazionali. Ciò significa che, pur descrivendo un’associazione tra i livelli di vitamina B12 (predittore) e il cancro (risultato osservato), non stabiliscono una relazione causa-effetto, a differenza degli studi randomizzati.
Una recente revisione ha concluso che non ci sono prove sufficienti per presumere che un elevato livello di vitamina B12 nel plasma, un elevato apporto di vitamina B12 o il trattamento con dosi farmacologiche di vitamina B12 siano causalmente correlati al cancro (Obeid, 2022)
Acido folico da solo
È stato descritto un rischio di cancro anche per l’integrazione di acido folico ad alto dosaggio.
In una meta-analisi di sei grandi studi prospettici sull'integrazione di acido folico, Baggott e colleghi hanno riferito che l'incidenza del cancro era maggiore nei gruppi che assumevano acido folico rispetto ai gruppi che non lo integravano (Baggott, 2012). I partecipanti hanno ricevuto acido folico (dosaggio medio 1,3 mg) per un periodo da 3 a 8 anni. La maggior parte degli studi includeva un’integrazione individuale di acido folico senza vitamina B12.
Per dimostrare quanto sia controversa questa questione, altri studi non hanno riportato alcun rischio significativo dell’integrazione di acido folico per il cancro.
Qin e colleghi hanno effettuato una meta-analisi di studi randomizzati e non hanno riscontrato alcun rischio significativo dell'integrazione di acido folico (dosaggio medio 1,64 mg) sul cancro (n = 49.406, 13 studi), sul cancro del colon-retto (n = 33.824, 7 studi), sul cancro del polmone (n = 31.864, 5 studi), altri tumori e mortalità totale per cancro (n = 31.930, 6 studi) durante un tempo medio di follow-up di 5.3 anni (Qin, 2013).
Vollset e colleghi hanno anche loro effettuato una meta-analisi di 13 studi randomizzati comprendenti 49.621 partecipanti, confrontando quelli trattati con acido folico (dosaggio medio 4,7 mg) con quelli trattati con placebo. Non hanno riportato effetti significativi sull’incidenza del cancro, incluso il cancro del colon, durante i primi 5 anni di trattamento (Vollset, 2013).
Un'altra meta-analisi di 19 studi, inclusi 12 studi randomizzati e controllati, non ha rilevato alcun rischio significativo di incidenza del cancro per l'integrazione di acido folico (0,4-1 mg) nei soggetti trattati, rispetto al gruppo di controllo, ad eccezione del cancro alla prostata (Wien, 2013).
Nonostante queste considerazioni e il fatto che questi studi non sono stati condotti specificatamente nelle PcP, la preoccupazione rimane. Alte dosi di vitamine B dovrebbero essere assunte solo quando necessario, come prescritto da un medico, e le persone a cui vengono somministrate alti dosaggi di vitamine B dovrebbero essere seguite attentamente. Sono necessari ulteriori studi.