Domande e risposte sulla benfotiamina La benfotiamina ha un ruolo nel trattamento delle condizioni neurologiche?
Che cos'è la benfotiamina?
La benfotiamina è un derivato tioestere sintetico della tiamina, un precursore della tiamina.
Che cos'è la tiamina e che ruolo ha nella cellula?
La tiamina è la vitamina B1. Dopo essere entrata nelle cellule, la tiamina viene convertita nella sua forma attiva, la tiamina difosfato (ThDP), nota anche come TPP (tiamina pirofosfato). La tiamina agisce come cofattore ("aiutante") in processi enzimatici chiave che svolgono un ruolo fondamentale nel metabolismo del glucosio e dell'energia, nella biosintesi e nell'attività antiossidante, come quelli che coinvolgono la transketolasi e i complessi mitocondriali della piruvato deidrogenasi e dell'alfa-chetoglutarato deidrogenasi, necessari anche per la produzione di neurotrasmettitori chiave (acetilcolina, glutammato, GABA) (Bettendorff, 2023; Mkrtchyan, 2015).
L'alterazione del metabolismo del glucosio svolge un ruolo nella fisiopatologia del Parkinson, insieme ad altri fattori (ad esempio lo stress ossidativo e la neuro-infiammazione). Il metabolismo del glucosio è fondamentale per la produzione di energia cellulare e i neuroni si affidano al glucosio come fonte primaria di energia. La diminuzione dell'attività degli enzimi ThDP-dipendenti influisce negativamente sul metabolismo del glucosio nel cervello. Nel Parkinson, il metabolismo del glucosio è compromesso nei neuroni già nelle prime fasi della malattia (Dunn, 2014).
Esiste una carenza di tiamina nel diabete e nelle malattie neurodegenerative?
Diabete - Una carenza di tiamina è spesso presente nel diabete mellito di tipo 2 (Rabbani, 2011; Muley, 2022). Poiché la forma attiva della tiamina, ThDP, è un cofattore anche della transketolasi, la carenza di tiamina è accompagnata da una ridotta attività della transketolasi e dei processi dipendenti dalla transketolasi (Coy, 2005; Ge, 2020), cosa che può avere un ruolo nelle complicanze vascolari diabetiche (Ge, 2020).
Malattia di Alzheimer - Il metabolismo del glucosio e i processi dipendenti dalla tiamina sono ridotti nel cervello delle persone con malattia di Alzheimer in sede di autopsia e questa riduzione è un indicatore della progressione della malattia (Butterworth, 1990; Pan, 2010; Gibson, 1988, 2000, 2013; Mkrtchyan, 2015; Tapias, 2018; Moraes, 2020). I livelli plasmatici di tiamina sono risultati più bassi nelle persone con Alzheimer rispetto a quelle con Parkinson (Gold, 1998).
Perché è stata sviluppata la benfotiamina?
Quando la tiamina viene somministrata per via orale, l'assorbimento è basso. La via orale è in gran parte influenzata da un tasso di assorbimento basso e imprevedibile nelle persone con malattia di Parkinson, la maggior parte delle quali soffre di disturbi gastrointestinali (Csoti, 2016). La benfotiamina orale ha dimostrato di avere una biodisponibilità molto più elevata rispetto alla tiamina orale. Inoltre, la benfotiamina mantiene la forma attiva della tiamina (ThDP) per periodi più lunghi rispetto alla tiamina idrosolubile (Gibson, 2013).
La benfotiamina attraversa la barriera emato-encefalica?
Attualmente non ci sono prove che l’attraversi. Dopo l'assorbimento intestinale, la benfotiamina entra nel flusso sanguigno come S-benzoiltiamina, che viene convertita in tiamina libera negli eritrociti e nel fegato. La benfotiamina non è lipofila, non sembra attraversare la barriera emato-encefalica e non è in grado di passare attraverso le membrane cellulari per diffusione. Tuttavia, la S-benzoiltiamina può attraversare le membrane plasmatiche per semplice diffusione (Volvert, 2008; Sambon, 2021).
La benfotiamina può essere somministrata per via intramuscolare?
La somministrazione orale della benfotiamina è una via più efficace di quella parenterale, poiché la benfotiamina deve essere prima de-fosforilata dalle fosfatasi alcaline intestinali a S-benzoiltiamina liposolubile (Volvert, 2008; Balakumar, 2010; Bozic, 2015).
Quindi, se la benfotiamina viene assorbita meglio, i livelli di tiamina nelle cellule sono più alti dopo la somministrazione di benfotiamina rispetto a dopo la somministrazione di tiamina?
Nei topi, la somministrazione di benfotiamina è seguita da un rapido aumento dei livelli di tiamina nel sangue e nel fegato. In uno studio sui ratti, la somministrazione di benfotiamina ha determinato un aumento del 100% dei livelli plasmatici totali di tiamina (Portari, 2013). Nei globuli rossi, i livelli di tiamina sono aumentati di 4 volte dopo la somministrazione di tiamina e di 25 volte dopo quella di benfotiamina, rispetto ai ratti che non avevano ricevuto né tiamina né benfotiamina (Portari, 2013). Nel fegato, la tiamina è aumentata del 60%.
Se la benfotiamina aumenta le concentrazioni di tiamina nella cellula, cosa succede agli enzimi che dipendono da essa?
Abbiamo visto che gli enzimi chiave della cellula dipendono dalla ThDP come cofattore. La transketolasi è un enzima chiave della via del pentoso fosfato dipendente dalla tiamina (PPP).
Che cos'è la via del pentoso fosfato (PPP)?
La PPP è una via metabolica cruciale per i neuroni in quanto porta ad attività antiossidanti, oltre ai processi di biosintesi. I neuroni sono molto sensibili all'ossidazione.
Quali sono le funzioni principali della PPP?
La PPP genera NADPH e ribosio-5-fosfato, che sono fondamentali per la sopravvivenza delle cellule. Il NADPH è un importante agente riducente. Contribuisce anche a rigenerare il glutatione ridotto, che protegge la cellula dal danno ossidativo ed aiuta a mantenere l'omeostasi di riduzione-ossidazione (redox). I livelli di glutatione ridotto sono diminuiti nel cervello delle persone con Parkinson (Wei, 2020).
Come enzima chiave ThDP-dipendente nel PPP, la transketolasi svolge quindi un ruolo importante nei meccanismi di regolazione dello stress ossidativo.
Cosa controlla il PPP?
La PPP parte dal glucosio-6-fosfato (G6P), all'inizio della glicolisi. Devia il metabolismo dalla via della glicolisi - che produce energia sotto forma di ATP – a quella della PPP - che dà luogo a biosintesi e attività antiossidanti (Ge 2020; Wilkinson, 2020).
La glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD) è l'enzima che limita la velocità della PPP. Ciò significa che la G6PD regola il flusso di G6P che entra nella PPP.
L'attività della G6PD è alterata nella malattia di Parkinson?
L'attività della G6PD è stata trovata upregolata nella microglia, in modelli di Parkinson in vitro e in vivo.
La PPP funziona quindi normalmente nella malattia di Parkinson?
La funzione della PPP è alterata nel Parkinson. L'aumento dell'attività della G6PD determina una disfunzione della PPP.
Cosa succede se la PPP non funziona correttamente?
Se la funzione della PPP è alterata, come nel Parkinson, può verificarsi uno stress ossidativo con conseguente danno neuronale. L'inibizione della PPP ha causato la morte delle cellule dopaminergiche in modelli animali (Dunn, 2014).
L'upregulation della G6PD genera un eccesso di NADPH e porta a una sovrapproduzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) (Tu, 2019), con conseguente neurotossicità. L'aumento della produzione di NADPH è stato descritto nel putamen (una regione cerebrale colpita dal Parkinson) nei casi in fase avanzata (Dunn, 2014).
L'inibizione della G6PD nei modelli di Parkinson è in grado di ridurre l'attivazione della microglia e la neuroinfiammazione ed è associata a una minore perdita di neuroni.
La benfotiamina corregge la disfunzione della PPP?
Molti autori ritengono che la benfotiamina attivi la transketolasi. Attivando la transketolasi e la PPP, la benfotiamina preverrebbe lo stress ossidativo e i danni al DNA. La transketolasi dirige i precursori degli AGE verso la PPP, riducendone la produzione e l'accumulo.
Cosa sono gli AGE?
I prodotti finali della glicazione avanzata (AGE), noti anche come glicotossine, sono prodotti generati nella cellula che hanno un forte effetto ossidante e possono causare un aumento dello stress ossidante e dell'infiammazione. In determinate condizioni, gli AGE possono accumularsi nella cellula.
Cosa succede nelle complicanze neurologiche del diabete?
L'iperglicemia nel diabete causa una maggiore produzione e un rapido accumulo di AGE (Balakumar, 2010) con un aumento dell'utilizzo di NADPH (Lei Pang, 2020), che svolge un ruolo chiave nel mantenere l'omeostasi redox. Si ritiene che ciò, tra altri fattori, contribuisca alle complicanze associate al diabete (Balakumar, 2010), tra cui la neuropatia.
L'accumulo di AGE (Schmid, 2008: Balakumar, 2010) causa danni alle cellule. I possibili meccanismi includono l'attivazione dei macrofagi e delle cellule endoteliali - innescando una risposta infiammatoria - e l'aumento dello stress ossidativo che compromette il tono vascolare (Balakumar, 2010; Lei Pang, 2020). È stato dimostrato che la transketolasi previene la disfunzione delle cellule vascolari dovuta all'iperglicemia (Ge, 2020).
Che azioni ha la benfotiamina?
Nel diabete, la somministrazione di benfotiamina aumenta la concentrazione intracellulare di tiamina e ThDP (Bashir, 2024), stimola l'attività della transketolasi - provocando una diminuzione delle concentrazioni di AGE (Coy, 2005) e blocca il danno iperglicemico, contribuendo a prevenire o a far regredire le complicanze diabetiche, compresa la neuropatia (Hammes, 2003).
Studi randomizzati, controllati con placebo e in doppio cieco condotti su pazienti affetti da polineuropatia diabetica hanno costantemente dimostrato che la benfotiamina, a dosaggi fino a 600 mg/die, migliora i sintomi della neuropatia e ha effetti particolarmente evidenti sul dolore (Stracke, 1996; Winkler, 1999; Haupt, 2005; Stracke, 2008). Poiché parametri come l'HbA1c e la glicemia a digiuno sono rimasti invariati, tali miglioramenti non sembrano essere legati a un effetto della benfotiamina sul metabolismo del glucosio, ma piuttosto ad altri meccanismi.
Cosa hanno dimostrato gli studi sulla benfotiamina nella neuropatia diabetica?
Gli studi clinici condotti su pazienti diabetici affetti da neuropatia hanno finora dimostrato che la benfotiamina:
- provoca un miglioramento dei sintomi, più evidente a dosi più alte rispetto a quelle più basse (600 mg rispetto a 300 mg e a 150 mg al giorno) e con trattamenti di più lunga durata.
- ha effetti particolarmente evidenti sul dolore.
- porta a miglioramenti non legati al metabolismo del glucosio, in quanto parametri come l'HbA1c e la glicemia a digiuno sono rimasti invariati.
Quindi, aumentando la capacità di riduzione delle cellule e proteggendo dallo stress ossidativo, la benfotiamina esercita effetti neuroprotettivi?
La benfotiamina ha dimostrato di avere effetti neuroprotettivi. Si ritiene comunemente che i sintomi siano legati alla diminuzione dell'attività degli enzimi che dipendono dal ThDP, la forma attiva della tiamina (Volvert, 2008; Bettendorff, 2023). Tuttavia, recentemente è stato suggerito che la benfotiamina possa agire anche attraverso effetti antiossidanti e antinfiammatori indipendenti dal ruolo dei coenzimi (Bettendorff, 2023).
Qual è la base dei meccanismi non coenzimatici dipendenti dalla benfotiamina?
Abbiamo visto che la somministrazione di benfotiamina è seguita da un rapido aumento dei livelli di tiamina nel sangue e nel fegato. Ma la situazione è diversa nel cervello. In uno studio in cui ai topi è stata somministrata benfotiamina per 14 giorni, i livelli di tiamina, tiamina monofosfato (ThMP) e tiamina difosfato (ThDP) non sono aumentati nel cervello (Volvert, 2008). Molti altri studi non hanno rilevato alcun aumento di ThDP dopo la somministrazione di benfotiamina (Pan, 2010; Tapias, 2018; Vignisse, 2017). È stato quindi suggerito che questo potrebbe non essere il meccanismo principale attraverso il quale la benfotiamina agisce e che gli effetti antiossidanti e antinfiammatori della benfotiamina potrebbero essere dovuti a meccanismi diversi dalle sue funzioni coenzima-dipendenti.
Esistono prove che la benfotiamina migliori i sintomi, nonostante la mancanza di un aumento dei livelli di ThDP nelle cellule cerebrali?
La benfotiamina ha un forte effetto antiossidante e potenzia il sistema antiossidativo della cellula. In modelli animali di Parkinson, la somministrazione quotidiana di benfotiamina per 42 giorni ha avuto effetti antiossidanti e antinfiammatori e ha migliorato significativamente i sintomi motori e non motori, compresi il comportamento e l'equilibrio, e i livelli di dopamina nel mesencefalo (Bushra, 2024).
È stato dimostrato che la benfotiamina protegge dalla neuropatia diabetica in studi preclinici e clinici, ha effetti neuroprotettivi in modelli animali di malattie neurodegenerative e ha effetti sul decadimento cognitivo lieve in persone con malattia di Alzheimer lieve/moderata in studi clinici. È stato proposto che potenzialmente rivesta un ruolo nelle malattie neurodegenerative.
Quali sono i fattori coinvolti nella neurodegenerazione?
Attualmente si ritiene che l'alterazione del metabolismo del glucosio, la microglia attivata, lo stress ossidativo e la neuroinfiammazione svolgano un ruolo importante nella neurodegenerazione, anche nella malattia di Parkinson.
Se la benfotiamina non aumenta i livelli di ThDP, come può contrastare questi fattori che probabilmente interferiscono con le funzioni cellulari, causando morte cellulare e sintomi?
La benfotiamina ha dimostrato in colture cellulari e modelli animali di avere proprietà antiossidanti e antinfiammatorie.
Recentemente, si è sviluppato un interesse per un ruolo non coenzimatico ancora inesplorato che i metaboliti della tiamina, come la tiamina trifosfato e l'adenosina tiamina trifosfato, possono avere in condizioni di carenza di tiamina, come nell'Alzheimer (Gibson, 2013; Sambon, 2021). È interessante notare che gli effetti protettivi della benfotiamina sullo stress ossidativo, sull'infiammazione e sugli AGE, descritti in alcuni studi, si sono verificati senza un aumento della ThDP nel cervello (Pan et al, 2010; Vignisse, 2017), suggerendo il coinvolgimento di altri meccanismi.
Si ritiene che la microglia sia coinvolta nella neurodegenerazione. Che ruolo ha normalmente la microglia nel cervello?
La microglia nel cervello svolge ruoli molteplici e complessi. Tra questi, la microglia: ha funzioni di risposta immunitaria - secernendo citochine antinfiammatorie; ha capacità di riparazione dei tessuti - rilasciando fattori neurotrofici; e agisce come macrofagi, rimuovendo cellule neuronali morte o danneggiate, alfa-sinucleina, microbi e ciò che possa costituire una minaccia per il cervello. La microglia comunica con altri tipi di cellule nel cervello e interagisce con le cellule immunitarie infiltrate nelle infiammazioni periferiche. È inoltre coinvolta nella regolazione della funzione sinaptica e nell'eliminazione delle sinapsi (Gao, 2023).
La microglia, poi, è un altro fattore coinvolto nella neurodegenerazione...
È sempre più evidente che l'attivazione della microglia può avere un ruolo nelle malattie neurodegenerative (Gao, 2023). La microglia è in grado di provocare infiammazione, rilasciando citochine e chemochine e, attraverso la NADPH ossidasi, produce specie reattive dell'ossigeno (ROS) e specie reattive dell'azoto (RNS) (Block, 2007; Tu, 2019), che potrebbero essere un importante meccanismo patogenetico nell'Alzheimer e nel Parkinson, inducendo danni ai neuroni (Metodiewa, 2000).
In modelli murini e in autopsie di tessuti umani, è stata trovata microglia reattiva vicino a placche amiloidi o depositi di α-sinucleina in varie regioni cerebrali (Gao, 2023).
Si ritiene che l'attivazione della microglia con la sovrapproduzione di ROS e RNS e l'alterazione del metabolismo ossidativo svolga un ruolo importante nella patogenesi delle malattie neurodegenerative, tra cui l'Alzheimer (Ke, 2004; Uttara, 2009). Nei modelli animali è stata dimostrata l'esistenza di uno stress ossidativo nel cervello che è già presente prima dello sviluppo delle placche. È noto che il sistema nervoso centrale è particolarmente vulnerabile a questo fenomeno, data la sua elevata richiesta di energia e di utilizzo dell'ossigeno (Praticò, 2001).
La microglia è attivata nella malattia di Parkinson?
La microglia è attivata nel Parkinson (Edison, 2013). La microglia è stata trovata attivata in modelli di Parkinson in vitro e nella substantia nigra di modelli di Parkinson in vivo (Tu, 2019), con accumulo di mediatori infiammatori nel tessuto cerebrale autoptico. L'attivazione si verifica precocemente nel Parkinson e sembra persistere con il progredire della malattia, anche se l'evento iniziale che l'ha causata cessa di esistere (Imamura, 2003; Hald, 2007).
Microglia reattiva con accumulo di mediatori infiammatori è stata notata nel tessuto cerebrale autoptico nella substantia nigra di persone con Parkinson.
Cosa succede quando la microglia si attiva?
Le citochine rilasciate dalla microglia attivata possono passare da neuroprotettive a neurotossiche durante la progressione del Parkinson. Le sostanze pro-infiammatorie rilasciate possono causare neuroinfiammazione, che nel tempo contribuirebbe allo sviluppo del Parkinson (Gao, 2023). Nel siero e nel liquido cerebro-spinale (CSF) di persone con Parkinson e nella neuroinfiammazione causata dall'alfa-sinucleina è stato riscontrato un aumento dei livelli di citochine (Gao, 2023). Nell'infiammazione periferica, l'infiltrazione di cellule immunitarie trasforma la microglia in un fenotipo pro-infiammatorio, contribuendo alla neurodegenerazione (Hirsch, 2003).
L'alfa-sinucleina si aggrega nel Parkinson, attirando la microglia nei siti e trasformandola in un fenotipo pro-infiammatorio, con conseguente aumento della produzione di citochine infiammatorie e generazione di radicali liberi. La neuroinfiammazione causata dall'alfa-sinucleina ha un ruolo importante (Zhang, 2005), in quanto si è visto che può verificarsi anche prima della perdita dei neuroni dopaminergici nel Parkinson e che può a sua volta causare un'ulteriore attivazione microgliale, perpetuando l'effetto. L'alterazione della fagocitosi da parte della microglia può portare a neuroinfiammazione e neurodegenerazione (Gao, 2023).
Esistono prove della riduzione del metabolismo del glucosio? Che rapporto c'è con l'attivazione della microglia nelle malattie neurodegenerative, tra cui il morbo di Parkinson?
È stato osservato che il metabolismo del glucosio nelle aree corticali è ridotto nel Parkinson e ciò è inversamente associato all'attivazione della microglia fin dalle prime fasi della malattia. In uno studio condotto su persone con Parkinson utilizzando tecniche di imaging (risonanza magnetica - MRI - e tomografia a emissione di positroni - PET -), Edison et al. hanno riscontrato una significativa attivazione della microglia nelle aree corticali del cervello nel Parkinson rispetto ai controlli, correlata con il deterioramento cognitivo. Gli autori hanno ipotizzato che la microglia attivata possa svolgere un ruolo importante nella patogenesi della demenza nel Parkinson (Edison, 2013).
In uno studio condotto su persone affette da Alzheimer, da decadimento cognitivo lieve (MCI) o da Parkinson - con e senza demenza - Fan et al. hanno riscontrato una correlazione negativa tra l'aumento dell'attivazione microgliale e la riduzione del metabolismo del glucosio nelle persone affette da Alzheimer, MCI e Parkinson e una correlazione positiva tra l'amiloide e l'attivazione microgliale nelle persone affette da Alzheimer e MCI. L'attivazione microgliale nelle aree corticali è risultata negativamente correlata con il deterioramento cognitivo sia nelle persone con Alzheimer che in quelle con Parkinson e demenza (Fan, 2015).
La benfotiamina riduce l'attivazione della microglia?
È stato dimostrato che la benfotiamina riduce l'attivazione della microglia. La benfotiamina aumenta anche la sintesi di glutatione nella microglia attivata, proteggendo la cellula dagli insulti ossidanti (Bozic, 2015; Lu, 2009, 2013).
Abbiamo visto il ruolo che la microglia attivata può avere nelle malattie neurodegenerative. E per quanto riguarda il microbiota intestinale?
Il microbiota intestinale può svolgere un ruolo importante nell'influenzare le funzioni della microglia (Erny, 2015). L'uso di antibiotici, modificando il microbiota, ha portato a cambiamenti nella funzione microgliale. La fermentazione batterica nell'intestino produce SCFA.
Quali effetti ha l'aumento della produzione di acidi grassi a catena corta (SCFA) nell'intestino?
È stato riportato che gli SCFA hanno effetti benefici molti importanti, tra cui quelli antinfiammatori, immunoregolatori e neuroprotettivi (Xiong, 2022).
Gli SCFA sono importanti mediatori dell'asse intestino-cervello. Inibiscono la produzione di mediatori pro-infiammatori e favoriscono la produzione di mediatori anti-infiammatori, inducendo così effetti anti-infiammatori. Attraverso l'asse intestino-cervello, ciò potrebbe determinare una riduzione dell'infiammazione e dello stress ossidativo nel cervello (Bettendorff, 2023).
La benfotiamina influisce sul microbiota?
Una quantità significativa di benfotiamina viene convertita in tiamina nell'intestino. La quantità di tiamina non assorbita potrebbe modulare il microbiota intestinale e, come abbiamo visto, ridurre potenzialmente l'infiammazione e lo stress ossidativo nel cervello.
E gli effetti della benfotiamina nella malattia di Alzheimer?
Negli studi preclinici sull'Alzheimer, la benfotiamina ha migliorato il metabolismo del glucosio, ha protetto dal danno ossidativo e dagli AGE, ha ridotto l'infiammazione, ha protetto dalla formazione dei grovigli neurofibrillari e dai livelli di tau fosforilata nelle aree corticali, ha migliorato la memoria e la sopravvivenza. Negli studi clinici, la benfotiamina ha migliorato il decadimento cognitivo lieve o la demenza lieve dovuta all'Alzheimer. Questi risultati sono promettenti, ma richiedono ulteriori conferme.
Quanto è sicura la benfotiamina?
Negli studi clinici la benfotiamina è risultata ben tollerata e priva di effetti avversi, ad eccezione di un aumento della pressione sanguigna riportato in uno studio (Fraser, 2012).
Considerando le prove finora raccolte, le persone con Parkinson possono iniziare a usare la benfotiamina?
Ad oggi non sono stati condotti studi clinici sulla benfotiamina nel Parkinson. Finché non saranno condotti studi randomizzati, controllati con placebo e in doppio cieco su persone con Parkinson che confermino la sicurezza, il dosaggio e l'efficacia della benfotiamina, non è possibile raccomandarne l'uso nella malattia di Parkinson.
C'è qualche problema con il dosaggio della benfotiamina nella malattia di Parkinson?
Gli studi condotti finora con la benfotiamina in diverse condizioni hanno utilizzato una dose fissa di benfotiamina per ogni partecipante. Tuttavia, è stato riferito che nella terapia ad alto dosaggio di tiamina nel Parkinson la dose di tiamina deve essere attentamente adattata alla singola persona attraverso un approccio "per tentativi". La necessità di adattare la dose a ogni persona può essere legata alla diversa percentuale di neuroni sopravvissuti e alla velocità di recupero delle cellule in una persona con Parkinson. È molto probabile che questo differisca da persona a persona. Non è noto se lo stesso approccio di una dose personalizzata per ogni persona debba essere applicato anche alla benfotiamina nel Parkinson.
Cosa si può concludere?
Si può concludere che, grazie all'attivazione della transketolasi e alla riduzione dell'attivazione della microglia, dello stress ossidativo e dell'infiammazione, la benfotiamina rappresenta una potenziale opzione terapeutica da testare negli studi clinici sul Parkinson.
Questo post di domande e risposte sulla benfotiamina si basa sul documento di b1parkinsons.org "Forme di tiamina: Benfotiamina", che fa parte della serie di b1parkinsons.org sulle basi tecniche del razionale del protocollo High-dose Thiamine (HDT) nella malattia di Parkinson, disponibile per gli operatori sanitari nella sezione del sito web "Member area", riservata ai professionisti sanitari registrati. L'elenco completo dei riferimenti è riportato alla fine del documento.